Non costituisce un atto di comunicazione al pubblico la messa a disposizione su un sito Internet di collegamenti cliccabili verso opere liberamente disponibili su un altro sito Internet.
Lo ha chiarito in questa sentenza la Corte di Giustizia dell'UE.
Google ringrazia. X-)
sabato, marzo 01, 2014
venerdì, febbraio 07, 2014
La Stampa al tempo della crisi
La Stampa ha da tempo rilasciato il suo archivio storico con licenza Creative Commons.
Così:
Le singole pagine di ciascun numero (ma non il numero considerato nella sua interezza) dei quotidiani "La Stampa" e "Stampa Sera" e delle altre pubblicazioni dell'Editrice La Stampa S.p.A. presenti all'interno dell'Archivio Storico sono rilasciate in licenza Creative Commons: "Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5" clicca qui per conoscere i termini della licenza. Nella successiva riproduzione e distribuzione delle pagine dei quotidiani "La Stampa" e "Stampa Sera" e delle altre pubblicazioni dell'Editrice La Stampa S.p.A. presenti all'interno dell'Archivio Storico, l'utente è tenuto ad indicare - come autore dell'Opera - l'Editrice La Stampa S.p.A. e menzionare la fonte da cui tale Opera è stata tratta. I numeri del quotidiano "La Stampa" e "Stampa Sera" e delle altre pubblicazioni dell'Editrice La Stampa S.p.A. pubblicati per la prima volta da oltre 70 anni sono ovviamente di pubblico dominio e liberamente utilizzabili, in tutto o in parte, dagli utenti al di fuori dei termini della licenza Creative Commons, fermo restando l'obbligo di indicare l'autore dell'opera. La licenza Creative Commons non ha ad oggetto i singoli articoli, individualmente considerati, pubblicati sul quotidiano "La Stampa" e "Stampa Sera" e sulle altre pubblicazioni dell'Editrice La Stampa S.p.A. presenti all'interno dell'Archivio Storico, la cui riproduzione è pertanto vietata. Gli articoli di autori deceduti da oltre 70 anni sono tuttavia di pubblico dominio e liberamente utilizzabili dagli utenti, fermo restando l'obbligo di indicare l'autore dell'articolo. Restano, inoltre, impregiudicati i diritti di utilizzo dei singoli articoli riconosciuti dalla legge sul diritto d'autore (Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modifiche), nei casi ed entri i limiti previsti dalla legge medesima. La licenza Creative Commons non ha ad oggetto la banca dati dell'Archivio Storico: è conseguentemente vietata l'estrazione e il reimpiego della totalità o di una parte sostanziale del contenuto di tale banca dati. Restano impregiudicati i diritti sulla banca dati riconosciuti dalla legge sul diritto d'autore (Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modifiche), nei casi ed entri i limiti previsti dalla legge medesima. La licenza Creative Commons non ha ad oggetto le singole foto ed i singoli articoli, individualmente considerati, pubblicati sul quotidiano "La Stampa" e "Stampa Sera" e sulle altre pubblicazioni dell'Editrice La Stampa S.p.A. presenti all'interno dell'Archivio Storico, la cui riproduzione è pertanto vietata.Sorvolando sull'opportunità di rilasciare con licenza CC soltanto le singole pagine e non il numero intero, il divieto di riproduzione dei singoli articoli è una conseguenza del secondo comma dell'art. 38 LDA, che riserva al singolo collaboratore dell'opera collettiva il diritto di utilizzarla separatamente.
In realtà, l'art. 38 LDA diventa necessariamente un limite se ragioniamo col senno di poi, ma se ragioniamo col senno di prima, allora si scopre che uno stesso caporedattore de La Stampa, malgrado la sua volontà e le sue ripetute richieste di rilasciare i propri articoli con licenza CC, non ci è riuscito.
C'è chi imputa l'insuccesso alla crisi, che non consentirebbe di porre l'attenzione sul tema del diritto d'autore.
Tuttavia, secondo me, sarebbe meglio che La Stampa prima si chiarisse le idee sulla quantità di libertà che vuole concedere e poi passasse alla redazione di certe note legali (che a quanto pare non risentono della crisi): sarebbero certamente più comprensibili per gli utilizzatori.
mercoledì, novembre 20, 2013
Gac, il più timorato admin di Wikipedia
Su Wiki Perle sono narrate le gesta di Gac, admin di Wikipedia che non perde l'occasione di farsi apprezzare per le sue qualità "carismatiche".
Nella fattispecie è bastato un "per dio!", pronunciato da un utente, per far scattare l'ira funesta dell'amministratore wikipediano, il quale, dinanzi al successivo sblocco invocato dalla comunità, ha deciso di iniziare uno sciopero, una wikipausa per protestare contro il torto subito da Nostro Signore.
Se uno è sensibile è sensibile.
Ma la cosa più sconcertante è la serie di intrighi demenziali che caratterizzano la cosiddetta Wikimafia (il riferimento non è al sito wikimafia.it ma - cito Wiki Perle - alla "Wikimafia che vorrebbe governare Wikipedia a proprio esclusivo arbitrio").
Sarà forse questa forma mentis che dominerà il mondo nei prossimi secoli? Quale mutazione genetica inflitta dall'interconnettività sta subendo l'homo sapiens? Per farvi un'idea vi lascio alla lettura di Wiki Perle, su cui proprio oggi è stato scritto che i morti di Lampedusa non sono considerati enciclopedici dalla Wikipedia italiana: anche in questo caso è una questione di sensibilità.
Nella fattispecie è bastato un "per dio!", pronunciato da un utente, per far scattare l'ira funesta dell'amministratore wikipediano, il quale, dinanzi al successivo sblocco invocato dalla comunità, ha deciso di iniziare uno sciopero, una wikipausa per protestare contro il torto subito da Nostro Signore.
Se uno è sensibile è sensibile.
Ma la cosa più sconcertante è la serie di intrighi demenziali che caratterizzano la cosiddetta Wikimafia (il riferimento non è al sito wikimafia.it ma - cito Wiki Perle - alla "Wikimafia che vorrebbe governare Wikipedia a proprio esclusivo arbitrio").
Sarà forse questa forma mentis che dominerà il mondo nei prossimi secoli? Quale mutazione genetica inflitta dall'interconnettività sta subendo l'homo sapiens? Per farvi un'idea vi lascio alla lettura di Wiki Perle, su cui proprio oggi è stato scritto che i morti di Lampedusa non sono considerati enciclopedici dalla Wikipedia italiana: anche in questo caso è una questione di sensibilità.
martedì, ottobre 15, 2013
iJamix.com: lo squalo a caccia di squali
Io non so quali magiche istruzioni questo sito un po' tristemente X Factor possa dare agli artisti, so solo che, come ogni nuova azienducola senza troppi scrupoli che si affaccia in rete parlando di libertà digitali e di tutela delle opere, ha preso di mira Copyzero cercando prima di elogiarlo e poi di denigrarlo (della serie: provo a farmi notare così e, se non funziona, ci riprovo cosà). Nella fattispecie, con una serie di articoli di "approfondimento" (il cui autore, titolare della stessa impresuccia iJamix, si prefigge l'obiettivo di tirare fuori dalla rete gli squali dall'acqua e di prenderli a schiaffi) a cui non linkerò per evitare traffico su delle pagine di pura e superba diarrea, si sostiene con tutta una serie di screenshot (ne hai di tempo da perdere eh?) che Copyzero è un'alternativa farlocca alla SIAE e commerciale. E' chiaro: non farlocco e realmente interessato al tuo successo è solo iJamix.com! Corri da iJamix.com, non perdere il treno, le istruzioni magiche per diventare ricco e famoso ti aspettano! :-D
Parla la storia di Movimento Costozero (che nasce quando questo curioso manager di iJamix ancora giocava con i trucchi per bambini del mago Silvan), parlano gli utenti (centinaia di veri ringraziamenti, non quattro testimonzianze pettinate, come quelle che si leggono su iJamix.com). Quindi, non mi metterò al livello del diffamatore a mezzo Internet (che, come suggeriva Marianna, si potrebbe anche querelare, se non fosse che il page ranking di quel sito è pressoché nullo e ho cose più serie a cui pensare, tra cui un lavoro dignitoso).
Ora io potrei anche sbagliarmi, ma, secondo me, se provate a seguire i consigli di iJamix.com è possibile che vi ritroviate con tutta una serie di magiche istruzioni per il successo, ma anche con meno soldini di prima.
Quanti siti aprirai ancora giovine 2.0 vendendo fumo? Ne ho già visto qualcuno e se penso che per quel fumo qualcuno metterà soldi sul tuo conto PayPal, mi sento male. Ma prima di diventare un Alessio Sundas hai ancora un po' di pappa da mangiare (per fortuna).
Tuttavia, può darsi che mi sbagli perché le magiche istruzioni di iJamix potrebbero anche portare dritti dritti al successo. Del resto chi non conosce iJamix e il genio imprenditoriale che l'ha creato? Sono famosissimi! E i suoi siti son tutti siti di grande successo! Basta guardare corsodipianoforte.com, in cui si insegna a suonare il pianoforte per corrispondenza (ma sì! che te ne fai del pianoforte!) o ascuoladipianojazz.com, seguendo le cui lezioni potrete diventare dei meravigliosi jazzisti! Davvero soldini ben spesi! E a breve on-line anche inbiciclettasenzamani.it! :-D
Dai, ma come!? Non conoscete questi siti!?!? Ma guardate che qui si sta parlando veramente di net economy e di grandi opportunità per diventare artisti di successo, mica noccioline, mica farloccherie!
Guida Pratica all'Open Content in Italia

Questo non significa che domattina non troverete in rete un "nuovo" servizio che, scoprendo l'acqua calda, offra Copyzero chiamandolo con un altro nome, ma, almeno, si è creata un certa consapevolezza sulle origini del termine e soprattutto sui principi, certamente non commerciali, da cui è nato.
mercoledì, ottobre 02, 2013
Powerline: buona notte fiorellino!
Dopo un articolo pubblicato su Terra Nuova di questo mese (che fa riferimento ad un nostro articolo di 10 anni fa, ma meglio tardi che mai!), stiamo ricevendo molte mail in cui gli italiani si domandano: "Come posso collegarmi in banda larga ad Internet attraverso la presa della corrente?".
La risposta è semplice: non si può. In Cina questa tecnologia va alla grande e il digital divide lo stanno abbattendo, ma in Italia l'ultimo pensiero dei fornitori di energia elettrica è proprio quello di installare moduli aggiuntivi powerline presso le centrali locali.
Nessun servizio erogato e dunque nessuna possibilità di coprire con questa tecnologia aree in cui non arriva la banda larga. Alla faccia del digital divide e di questa (oramai vetusta) raccomandazione europea.
Però, se cercate in rete, trovate in vendita una quantità straordinaria di adattatori powerline. A cosa servono? Ad estendere la linea adsl di casa, nulla di più: quella che poteva essere un'arma in più per la lotta al digital divide è si è sviluppata né più né meno come un mercatino di accessori per chi già dispone di linea adsl.
La risposta è semplice: non si può. In Cina questa tecnologia va alla grande e il digital divide lo stanno abbattendo, ma in Italia l'ultimo pensiero dei fornitori di energia elettrica è proprio quello di installare moduli aggiuntivi powerline presso le centrali locali.
Nessun servizio erogato e dunque nessuna possibilità di coprire con questa tecnologia aree in cui non arriva la banda larga. Alla faccia del digital divide e di questa (oramai vetusta) raccomandazione europea.
Però, se cercate in rete, trovate in vendita una quantità straordinaria di adattatori powerline. A cosa servono? Ad estendere la linea adsl di casa, nulla di più: quella che poteva essere un'arma in più per la lotta al digital divide è si è sviluppata né più né meno come un mercatino di accessori per chi già dispone di linea adsl.
lunedì, maggio 27, 2013
Patamu.com: l'idea antiplagio che è un plagio
Complimenti (benché tardivi) per il premio consegnato a questa bella idea. Fosse stata anche originale e non copiata sarebbe stato meglio, ma per il premio RITORNO AL FUTURO è perfetta e poi io sono favorevole al plagio (rectius, alla diffusione delle idee).
venerdì, marzo 15, 2013
PEC: differenza tra riferimento temporale e marca temporale
Torno sulla PEC per ribadire che essa non può costituire una valida alternativa alla prova di anteriorità ottenibile con una marca temporale qualificata.
La disciplina della PEC utilizza due definizioni apparentemente simili ma in realtà molto diverse: "RIFERIMENTO TEMPORALE" e "MARCA TEMPORALE".
La definizione di riferimento temporale è stata introdotta nel 2001 con una delibera dell'AIPA e nel DPR 68/2005 viene così riportata:
"RIFERIMENTO TEMPORALE: l'informazione contenente la data e l'ora che viene associata ad un messaggio di posta elettronica certificata".
La definizone di marca temporale, invece, ben più nota, è la seguente:
"MARCA TEMPORALE: un'evidenza informatica con cui si attribuisce, ad uno o più documenti informatici, un riferimento temporale opponibile ai terzi".
L'art. 10 del DPR citato precisa:
Quindi soltanto la data di quanto contenuto nel log file è opponibile a terzi.
E nel log file cosa c'è?
Ce lo dicono le Regole tecniche del servizio di trasmissione di documenti informatici mediante posta elettronica certificata:
6.2 Log
Durante le fasi di trattamento del messaggio presso i punti di accesso, ricezione e consegna, il sistema deve mantenere traccia delle operazioni svolte. Tutte le attività sono memorizzate su un registro riportante i dati significativi dell'operazione:
• il codice identificativo univoco assegnato al messaggio originale (Message-ID)
• la data e l'ora dell'evento
• il mittente del messaggio originale
• i destinatari del messaggio originale
• l'oggetto del messaggio originale
• il tipo di evento (accettazione, ricezione, consegna, emissione, ricevute, errore, ecc.)
• il codice identificativo (Message-ID) dei messaggi correlati generati (ricevute, errori, ecc.)
• il gestore mittente.
Nessun riferimento al contenuto.
Non a caso lo stesso CNIPA (ora DigitPa) parla, nelle f.a.q. sulla PEC, di opponibilità a terzi soltanto con riferimento ai dati di ricezione e invio e precisa che "il Log file non contiene informazioni relative al contenuto del messaggio".
Se quindi volete datare con certezza il contenuto di un messaggio di PEC, dovete fare quello che fa il Gestore PEC con i log dei messaggi: utilizzare la marca temporale qualificata. :-)
La disciplina della PEC utilizza due definizioni apparentemente simili ma in realtà molto diverse: "RIFERIMENTO TEMPORALE" e "MARCA TEMPORALE".
La definizione di riferimento temporale è stata introdotta nel 2001 con una delibera dell'AIPA e nel DPR 68/2005 viene così riportata:
"RIFERIMENTO TEMPORALE: l'informazione contenente la data e l'ora che viene associata ad un messaggio di posta elettronica certificata".
La definizone di marca temporale, invece, ben più nota, è la seguente:
"MARCA TEMPORALE: un'evidenza informatica con cui si attribuisce, ad uno o più documenti informatici, un riferimento temporale opponibile ai terzi".
L'art. 10 del DPR citato precisa:
Articolo 10 - Riferimento temporale
Il riferimento temporale e la marca temporale sono formati in conformità a quanto previsto dalle regole tecniche di cui all'articolo 17.2.
I gestori di posta elettronica certificata appongono un riferimento temporale su ciascun messaggio e quotidianamente una marca temporale sui log dei messaggi.
Quindi soltanto la data di quanto contenuto nel log file è opponibile a terzi.
E nel log file cosa c'è?
Ce lo dicono le Regole tecniche del servizio di trasmissione di documenti informatici mediante posta elettronica certificata:
6.2 Log
Durante le fasi di trattamento del messaggio presso i punti di accesso, ricezione e consegna, il sistema deve mantenere traccia delle operazioni svolte. Tutte le attività sono memorizzate su un registro riportante i dati significativi dell'operazione:
• il codice identificativo univoco assegnato al messaggio originale (Message-ID)
• la data e l'ora dell'evento
• il mittente del messaggio originale
• i destinatari del messaggio originale
• l'oggetto del messaggio originale
• il tipo di evento (accettazione, ricezione, consegna, emissione, ricevute, errore, ecc.)
• il codice identificativo (Message-ID) dei messaggi correlati generati (ricevute, errori, ecc.)
• il gestore mittente.
Nessun riferimento al contenuto.
Non a caso lo stesso CNIPA (ora DigitPa) parla, nelle f.a.q. sulla PEC, di opponibilità a terzi soltanto con riferimento ai dati di ricezione e invio e precisa che "il Log file non contiene informazioni relative al contenuto del messaggio".
Se quindi volete datare con certezza il contenuto di un messaggio di PEC, dovete fare quello che fa il Gestore PEC con i log dei messaggi: utilizzare la marca temporale qualificata. :-)
venerdì, dicembre 07, 2012
Copyright.it: tutela del copyright a costo paranormale
Su questo sito, su cui si legge "Ottieni finalmente un vero e proprio copyright © da apporre sulle tue creazioni", come se il "copyright ©" fosse un marchio registrato da dover acquistare e non un diritto che sorge, gratuitamente, in capo all'autore al momento della creazione dell'opera, ci sono dei prezzi che sono paranormali e servizi
pressoché incomprensibili. Per esempio: "Deposito di Siti Web - 100 pagine x 12 mesi - Platino 790,00 €". 12 mesi? 790 euro?
Mah, ci sarà anche chi paga: condoglianze. :-)
giovedì, dicembre 06, 2012
Sulla PEC come alternativa alla marca temporale
Per fare un esempio comprensibile a tutti, la PEC è come una raccomandata AR con timbro apposto sulla busta e non sul contenuto.
Ossia la PEC rende opponibile a terzi la data e l'ora di invio e ricezione, non anche ciò che contiene.
Ossia la PEC rende opponibile a terzi la data e l'ora di invio e ricezione, non anche ciò che contiene.
Il procedimento sulla base del quale il giudice stabilisce che l'allegato inviato conteneva un certo documento informatico avviene sulla base della sua discrezionalità.
lunedì, marzo 12, 2012
venerdì, febbraio 24, 2012
Jamendo: ci sono problemi??

Come già ho scritto su questo blog, Jamendo NON garantisce che l'artista non è iscritto a società di colletta, garantisce, invece, che l'artista ha dichiarato a Jamendo di non essere iscritto a società di colletta:
"the artists whose works are subject to these agreements have declared to Jamendo that there were not members of any collective right society".
La formula non è affatto casuale: lungi da Jamendo scrivere "ti garantisco che questo artista non è iscritto a società di colletta", tantomeno fare verifiche al riguardo.
La garanzia è costituita, come dissi, da un'autocertificazione dell'artista.
Ci sono, tuttavia, altri aspetti che, a mio avviso, potrebbero lasciare Jamendo esposta: come identifica Jamendo l'artista? Perché se tutto accade tramite mail, senza invio di documenti di identità, firme olografe o elettroniche... come fa Jamendo a garantire che Mario Rossi ha dichiarato a Jamendo di non essere iscritto a società di colletta?
Inoltre, nelle f.a.q. di Jamendo leggiamo:
"Sottoscrivendo una licenza Jamendo PRO, riceverai un certificato da presentare agli enti di colletta e gestione dei diritti d'autore in caso di controllo. Tale certificato Jamendo PRO è riconosciuto da questi enti".
Come dire: mostra questo e stai tranquillo. Ma è davvero così? Un certificato siffatto, privo di sottoscrizione, di dati identificativi... è riconosciuto da tutti gli enti di colletta e gestione dei diritti d'autore?
Mi sembra un'affermazione (un'altra garanzia, se volete) piuttosto azzardata.
Infine, ci possiamo chiedere (e mi chiedo, anche per esperienza personale), il motivo di un modus operandi così superficiale.
La risposta che mi do è semplice: solidificando il meccanismo di garanzia (considerata anche l'operatività internazionale di Jamendo), l'attività di intermediazione (tra artisti e utilizzatori) sarebbe più complessa, ci sarebbero meno aderenti (sia da una parte che dall'altra) e dunque ci sarebbe meno guadagno.
Ciò detto, consentitemi una nota di colore, molto poco tecnica ma, forse, istruttiva: a volte, chi ha un bel giro d'affari riesce a mantenerlo senza problemi, anche se non fa le cose per bene. Ci sono "patti sotterranei".
E vi dico di più: se addirittura le associazioni di categoria, pur consapevoli della possibilità di creare per la musica d'ambiente "circuiti liberi e sicuri", continuano a proporre ai pubblici esercenti accordi con SIAE (in pratica, uno sconticino), significa, come cantava Tonino Carotone, che è un mondo difficile!
mercoledì, ottobre 05, 2011
Wikipedia: inaffidabile anche quando protesta per il DDL intercettazioni

Se è chiaro che il diritto di satira non è il diritto di insultare (per cui, a mio modo di vedere, gli amministratori di Nonciclopedia anziché autocensurarsi in nome del libero insulto dovrebbero semplicemente curare maggiormente la qualità dei contenuti del loro sito "condiviso"), qualche parola in più merita la "serrata" di Wikipedia, che scrive: La pagina che volevi leggere esiste ed è solo nascosta, ma c'è il rischio che fra poco si sia costretti a cancellarla davvero. [...] Oggi, purtroppo, i pilastri di questo progetto — neutralità, libertà e verificabilità dei suoi contenuti — rischiano di essere fortemente compromessi dal comma 29 del cosiddetto DDL intercettazioni. Contestualmente Wikipedia riporta anche parte del contenuto del suddetto comma: Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono. Wikipedia, però, omette di inserire il comma nel suo contesto, ossia nel testo che andrebbe ad integrare: la legge sulla stampa.
Vediamo allora il testo completo.
Art. 8 - Risposte e rettificheMi pare evidente che si sta parlando di stampa e siccome Wikipedia non ha niente a che fare con la stampa (nel comunicato Wikipedia stessa afferma di non avere nemmeno una redazione), non si capisce il perché di tanto clamore.
Il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale.
Per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche di cui al comma precedente sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono.
Per i periodici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce.
Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell’articolo 32 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono.
Le rettifiche o dichiarazioni devono fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche, per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate.
Qualora, trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma, la rettifica o dichiarazione non sia stata pubblicata o lo sia stata in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma, l'autore della richiesta di rettifica, se non intende procedere a norma del decimo comma dell'articolo 21, può chiedere al pretore, ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione.
La mancata o incompleta ottemperanza all'obbligo di cui al presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire 15.000.000 a lire 25.000.000.
La sentenza di condanna deve essere pubblicata per estratto nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia. Essa, ove ne sia il caso, ordina che la pubblicazione omessa sia effettuata.
Ma forse una risposta c'è e si riferiusce a un elemento che i nostri amici "libertari" on-line hanno imparato molto bene da coloro contro cui protestano: il marketing. Insomma, più che un modo per scendere in piazza, mi pare un modo per mettersi in piazza.
Giacché la ratio è quella di impedire alla stampa di far conoscere ai cittadini che razza di porci guidano il paese, dovrebbero essere i giornalisti (tutti: un'utopia) a protestare, non i wikipediani. Questi ultimi potrebbero manifestare la propria solidarietà scendendo in piazza (in quanto cittadini). Insomma, se ogni tanto gli amministratori di Wikipedia muovessero il culo invece di stare dalla mattina alla sera davanti a una tastiera per cancellare quello che secondo loro non è neutrale ed enciclopedico...
mercoledì, settembre 28, 2011
Riproduzioni meccaniche ex art. 2712 cod. civ.

[1] Art. 2712 Riproduzioni meccaniche
Le riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le registrazioni fotografiche, informatiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.
venerdì, agosto 05, 2011
Addio alla "giustizia dei poveri", anzi, alla giustizia

La finanziaria 2012, presentata da un Governo notoriamente ladro (ma questo è solo un dettaglio), ha introdotto un contributo unificato di 600 euro.
Questi 600 euro diventano 900, se non si dispone di un fax e di un account di posta elettronica certificata; posta elettronica certificata che, tuttavia, non è possibile utilizzare per inviare il ricorso in oggetto! Ah, ah, ah! Si ride per non piangere.
Questo significa riassestare l'economia dell'Italia o privare gli italiani di diritti costituzionalmente garantiti? Ma non è finita qui. Un controinteressato (potrebbe anche essere la stessa Amministrazione) può chiedere la trasposizione del giudizio davanti al T.A.R., rendendo totalmente inutile l'aver pagato quei 600-900 euro!
Non parlerei, però, come molti fanno, della fine della "giustizia dei poveri", ma della fine della giustizia, perché molto spesso il ricorso al T.A.R. è inopportuno per il semplice fatto che spese legali e processuali (quest'ultime quasi sempre compensate anche quando la causa è vinta) sono di gran lunga superiori al valore del bene che si cerca di difendere!
Mi auguro che l'Italia torni ad essere quella descritta da Metternich: un'espressione geografica... non meritiamo di esistere come nazione, tantomeno di avere apparati burocratici o strutture amministrative.
martedì, giugno 28, 2011
Se sitononraggiungibile.it non è raggiungibile...
Se sitononraggiungibile.it non è raggiungibile è perché evidentemente c'è gente che ha ancora il senso dell'umorismo.

Ma facciamola finita con le campagne inutili, variamente strumentalizzate dai partiti (perché alla fin fine sempre lì andiamo a parare: società civile partiticamente sponsorizzata). Pensiamo a fare quelle utili. Quante volte, in questi ultimi 10 anni, abbiamo assistito a scene di isteria di massa all'indomani dell'approvazione di qualche "normativa telematica" che si sarebbe fatta un sol boccone della libertà di espressione del povero cittadino? Siccome il web ha memoria, potrei farvi un lungo elenco di links a notizie shock (lungamente ed articolatamente commentate) che il tempo (non la stampa, che ha interesse soltanto al catastrofismo) ha rivelato prive di fondamento.
Enzo Mazza, che non è una persona che mi ispira particolarmente simpatia, scrive: "Non si sta parlando di comprimere le libertà digitali. Qui lo snodo è bloccare l'illegalità diffusa ed aiutare il mercato legittimo. Inibire quindi quelle (poche) piattaforme web palesemente pirata. Non blog, forum, motori di ricerca, siti personali e quant'altro. Ma pirate-bay, btjunkie, dduniverse, roja-directa, ecc!!".
Ecco, la banale verità è questa. Come si fa a credere che la politica dei poteri economici (perché anche dietro ad un'autorità amministrativa indipendente c'è pur sempre la politica dei poteri economici), voglia fermamente impedire alla signora Maria di caricare sul suo blog una foto presa a caso dal web? L'interesse è ben altro, di tutt'altro spessore. Capisco che certi guru del digitale vivono di allarmismi e fanno proseliti, ma stiamo cadendo per l'ennesima volta nel ridicolo.
Apprendere poi la preoccupazione di Gentiloni per la delibera dell'AGCOM lascia sbigottiti. Ragazzi, da che pulpito viene la predica!
Basta. Dicevamo: facciamo campagne sensate. Proprio oggi mi è rivenuta tra le mani la risoluzione 2003/2237(INI) del Parlamento europeo sui rischi di violazione, nell'UE e particolarmente in Italia, della libertà di espressione e di informazione. Sono passati 7 anni ma la situazione italiana, se possibile, è peggiorata.
Il Parmalento Europeo:
rileva che il tasso di concentrazione del mercato televisivo in Italia è oggi il più elevato d'Europa e che, nonostante l'offerta televisiva italiana consti di dodici canali nazionali e da dieci a quindici canali regionali e locali, il mercato è caratterizzato dal duopolio tra RAI e Mediaset, che complessivamente detengono quasi il 90% della quota totale di telespettatori e raccolgono il 96,8% delle risorse pubblicitarie, contro l'88% della Germania, l'82% della Gran Bretagna, il 77% della Francia e il 58% della Spagna;
rileva che il gruppo Mediaset è il più importante gruppo privato italiano nel settore delle comunicazioni e dei media televisivi e uno dei maggiori a livello mondiale, controllando tra l'altro reti televisive (RTI S.p.A.) e concessionarie di pubblicità (Publitalia '80), entrambe riconosciute formalmente in posizione dominante e in violazione della normativa nazionale (legge 249/97) dall'Autorità per la garanzia delle comunicazioni (delibera 226/03) [1];
rileva che uno dei settori nel quale più evidente è il conflitto di interessi è quello della pubblicità, tanto che il gruppo Mediaset nel 2001 ha ottenuto i 2/3 delle risorse pubblicitarie televisive, pari ad un ammontare di 2500 milioni di euro, e che le principali società italiane hanno trasferito gran parte degli investimenti pubblicitari dalla carta stampata alle reti Mediaset e dalla Rai a Mediaset [2];
rileva che il Presidente del Consiglio non ha risolto il suo conflitto di interessi, come si era esplicitamente impegnato, bensì ha incrementato la sua quota di controllo societario della società Mediaset (dal 48,639% al 51,023%): questa ha così ridotto drasticamente il proprio indebitamento netto, attraverso un sensibile incremento degli introiti pubblicitari a scapito delle entrate (e degli indici di ascolto) della concorrenza e, soprattutto, del finanziamento pubblicitario della carta stampata;
lamenta le ripetute e documentate ingerenze, pressioni e censure governative nell'organigramma e nella programmazione del servizio televisivo pubblico Rai (perfino nei programmi di satira), a partire dall'allontanamento di tre noti professionisti su clamorosa richiesta pubblica del Presidente del Consiglio nell'aprile 2002 – in un quadro in cui la maggioranza assoluta del consiglio di amministrazione della Rai e dell'apposito organo parlamentare di controllo è composta da membri dei partiti di governo; tali pressioni sono state poi estese anche su altri media non di sua proprietà, che hanno condotto fra l'altro, nel maggio 2003, alle dimissioni del direttore del Corriere della Sera;
rileva pertanto che il sistema italiano presenta un'anomalia dovuta a una combinazione unica di poteri economico, politico e mediatico nelle mani di un solo uomo, l'attuale Presidente del Consiglio dei Ministri italiano e al fatto che il governo italiano è, direttamente o indirettamente, in controllo di tutti i canali televisivi nazionali;
prende atto del fatto che in Italia da decenni il sistema radiotelevisivo opera in una situazione di assenza di legalità, accertata ripetutamente dalla Corte costituzionale e di fronte alla quale il concorso del legislatore ordinario e delle istituzioni preposte è risultato incapace del ritorno ad un regime legale; Rai e Mediaset continuano a controllare ciascuna tre emittenti televisive analogiche terrestri, malgrado la Corte costituzionale, con la sentenza n. 420 del 1994, avesse statuito che non è consentito ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale (vale a dire più di due programmi), ed avesse definito il regime normativo della legge n. 223/90 contrario alla Costituzione italiana, pur essendo un "regime transitorio"; nemmeno la legge 249/97 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) aveva accolto le prescrizioni della Corte costituzionale che, con la sentenza 466/02, ne dichiarò l'illegittimità costituzionale limitatamente all'articolo 3, comma 7, “nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso articolo 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo”;
prende atto del fatto che la Corte costituzionale italiana, nel novembre 2002 (causa 466/2002), ha dichiarato che "...la formazione dell'esistente sistema televisivo italiano privato in ambito nazionale ed in tecnica analogica trae origine da situazioni di mera occupazione di fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni), al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell'etere ... La descritta situazione di fatto non garantisce, pertanto, l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli "imperativi" ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia ... In questo quadro la protrazione della situazione (peraltro aggravata) già ritenuta illegittima dalla sentenza n° 420 del 1994 ed il mantenimento delle reti considerate ancora "eccedenti" dal legislatore del 1997 esigono, ai fini della compatibilità con i principi costituzionali, che sia previsto un termine finale assolutamente certo, definitivo e dunque non eludibile", e del fatto che ciononostante il termine per la riforma del settore audiovisivo non è stato rispettato e che il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge per la riforma del settore audiovisivo per un nuovo esame in quanto non conforme ai principi dichiarati dalla Corte costituzionale;
prende atto altresì del fatto che gli indirizzi stabiliti dalla commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi per la concessionaria unica del servizio pubblico radiotelevisivo, come pure le numerose delibere, che certificano violazioni di legge da parte delle emittenti, adottate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (incaricata di far rispettare le leggi nel settore radiotelevisivo), non vengono rispettati dalle emittenti stesse che continuano a consentire l'accesso ai media televisivi nazionali in modo sostanzialmente arbitrario, persino in campagna elettorale;
auspica che la definizione legislativa, contenuta nel progetto di legge per la riforma del settore audiovisivo (Legge Gasparri, articolo 2, lettera G), del "sistema integrato delle comunicazioni" quale unico mercato rilevante non sia in contrasto con le regole comunitarie in materia di concorrenza, ai sensi dell'articolo 82 del trattato CE e di numerose sentenze della Corte di giustizia, e non renda impossibile una definizione chiara e certa del mercato di riferimento;
auspica altresì che il "sistema di assegnazione delle frequenze", previsto dal progetto di legge Gasparri, non costituisca una mera legittimazione della situazione di fatto e che non si ponga in contrasto in particolare con la direttiva 2002/21/CE, con l'articolo 7 della direttiva 2002/20/CE3 e con la direttiva 2002/77/CE, le quali prevedono, fra l'altro, che l'attribuzione delle frequenze radio per i servizi di comunicazione elettronica si debba fondare su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati;
sottolinea la sua profonda preoccupazione circa la non applicazione della legge e la non esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale, in violazione del principio di legalità e dello Stato di diritto, nonché circa l'incapacità di riformare il settore audiovisivo, in conseguenza delle quali da decenni risulta considerevolmente indebolito il diritto dei cittadini a un'informazione pluralistica, diritto riconosciuto anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
esprime preoccupazione per il fatto che la situazione vigente in Italia possa insorgere in altri Stati membri e nei paesi in via di adesione qualora un magnate dei media decidesse di entrare in politica;
si rammarica che il Parlamento italiano non abbia ancora approvato una normativa per risolvere il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, così come era stato promesso che sarebbe avvenuto entro i primi cento giorni del governo;
ritiene che l'adozione di una riforma generale del settore audiovisivo possa essere facilitata qualora contenga salvaguardie specifiche e adeguate volte a prevenire attuali o futuri conflitti di interessi nelle attività dei responsabili locali, regionali o nazionali che detengono interessi sostanziali nel settore audiovisivo privato;
auspica inoltre che il disegno di legge Frattini sul conflitto di interessi non si limiti ad un riconoscimento di fatto del conflitto di interessi del Premier, ma preveda dispositivi adeguati per evitare il perdurare di questa situazione;
si rammarica del fatto che, se gli obblighi degli Stati membri di assicurare il pluralismo dei media fossero stati definiti dopo il Libro verde sul pluralismo del 1992, probabilmente si sarebbe potuta evitare l'attuale situazione in Italia;
[1] Il gruppo Mediaset controlla:
– televisioni (Canale 5, Italia 1 e Rete 4 in Italia e gruppo Telecinco in Spagna)
– televisioni via satellite (che fanno capo a Mediadigit) e digitale terrestre
– pubblicità (Publitalia '80 in Italia e Publiespana in Spagna)
– società legate ai media televisivi (Videotime, RTI Music, Elettronica industriale, Mediavideo)
– società di produzione e distribuzione di prodotti televisivi (Mediatrade, Finsimac, Olympia)
– telecomunicazioni fisse (Albacom)
– portale di Internet (Jumpy s.p.a.)
– distribuzione cinematografica (Medusa, che controlla il distributore Blockbusters)
– gruppi di investimento e servizi finanziari (Mediaset Investment in Lussemburgo e Trefinance)
– compagnia di assicurazioni (Mediolanum)
– società di costruzioni (Edilnord 2000)
– una squadra di calcio (AC Milan)
– la società editoriale Arnoldo Mondadori Editore che include la più grande casa editrice italiana di libri e numerosi periodici
– il quotidiano "Il Giornale" e il quotidiano "Il Foglio".
[2] Per esempio nel 2003 la Barilla ha investito l'86,8% in meno sui quotidiani e nello stesso tempo ha speso 20,6% in più per spot sulle reti Mediaset, la Procter&Gamble meno 90,5% sui quotidiani e 37% in più sulle reti Mediaset; anche una società pubblica come la telefonica Wind ha tagliato del 55,3% la spesa pubblicitaria sui giornali e l'ha aumentata del 10% sui network di Mediaset; inoltre la Rai nel 2003 ha perso l'8% delle risorse pubblicitarie a vantaggio di Mediaset, con un mancato introito di 80 milioni di euro.
Penso che basti leggere un documento del genere per capire che non si tratta di difendere ciò che non ci possono togliere e non hanno interesse a toglierci, ma si tratta di conquistare quello che non ci hanno mai dato. Meditate, gente, meditate.

Ma facciamola finita con le campagne inutili, variamente strumentalizzate dai partiti (perché alla fin fine sempre lì andiamo a parare: società civile partiticamente sponsorizzata). Pensiamo a fare quelle utili. Quante volte, in questi ultimi 10 anni, abbiamo assistito a scene di isteria di massa all'indomani dell'approvazione di qualche "normativa telematica" che si sarebbe fatta un sol boccone della libertà di espressione del povero cittadino? Siccome il web ha memoria, potrei farvi un lungo elenco di links a notizie shock (lungamente ed articolatamente commentate) che il tempo (non la stampa, che ha interesse soltanto al catastrofismo) ha rivelato prive di fondamento.
Enzo Mazza, che non è una persona che mi ispira particolarmente simpatia, scrive: "Non si sta parlando di comprimere le libertà digitali. Qui lo snodo è bloccare l'illegalità diffusa ed aiutare il mercato legittimo. Inibire quindi quelle (poche) piattaforme web palesemente pirata. Non blog, forum, motori di ricerca, siti personali e quant'altro. Ma pirate-bay, btjunkie, dduniverse, roja-directa, ecc!!".
Ecco, la banale verità è questa. Come si fa a credere che la politica dei poteri economici (perché anche dietro ad un'autorità amministrativa indipendente c'è pur sempre la politica dei poteri economici), voglia fermamente impedire alla signora Maria di caricare sul suo blog una foto presa a caso dal web? L'interesse è ben altro, di tutt'altro spessore. Capisco che certi guru del digitale vivono di allarmismi e fanno proseliti, ma stiamo cadendo per l'ennesima volta nel ridicolo.
Apprendere poi la preoccupazione di Gentiloni per la delibera dell'AGCOM lascia sbigottiti. Ragazzi, da che pulpito viene la predica!
Basta. Dicevamo: facciamo campagne sensate. Proprio oggi mi è rivenuta tra le mani la risoluzione 2003/2237(INI) del Parlamento europeo sui rischi di violazione, nell'UE e particolarmente in Italia, della libertà di espressione e di informazione. Sono passati 7 anni ma la situazione italiana, se possibile, è peggiorata.
Il Parmalento Europeo:
rileva che il tasso di concentrazione del mercato televisivo in Italia è oggi il più elevato d'Europa e che, nonostante l'offerta televisiva italiana consti di dodici canali nazionali e da dieci a quindici canali regionali e locali, il mercato è caratterizzato dal duopolio tra RAI e Mediaset, che complessivamente detengono quasi il 90% della quota totale di telespettatori e raccolgono il 96,8% delle risorse pubblicitarie, contro l'88% della Germania, l'82% della Gran Bretagna, il 77% della Francia e il 58% della Spagna;
rileva che il gruppo Mediaset è il più importante gruppo privato italiano nel settore delle comunicazioni e dei media televisivi e uno dei maggiori a livello mondiale, controllando tra l'altro reti televisive (RTI S.p.A.) e concessionarie di pubblicità (Publitalia '80), entrambe riconosciute formalmente in posizione dominante e in violazione della normativa nazionale (legge 249/97) dall'Autorità per la garanzia delle comunicazioni (delibera 226/03) [1];
rileva che uno dei settori nel quale più evidente è il conflitto di interessi è quello della pubblicità, tanto che il gruppo Mediaset nel 2001 ha ottenuto i 2/3 delle risorse pubblicitarie televisive, pari ad un ammontare di 2500 milioni di euro, e che le principali società italiane hanno trasferito gran parte degli investimenti pubblicitari dalla carta stampata alle reti Mediaset e dalla Rai a Mediaset [2];
rileva che il Presidente del Consiglio non ha risolto il suo conflitto di interessi, come si era esplicitamente impegnato, bensì ha incrementato la sua quota di controllo societario della società Mediaset (dal 48,639% al 51,023%): questa ha così ridotto drasticamente il proprio indebitamento netto, attraverso un sensibile incremento degli introiti pubblicitari a scapito delle entrate (e degli indici di ascolto) della concorrenza e, soprattutto, del finanziamento pubblicitario della carta stampata;
lamenta le ripetute e documentate ingerenze, pressioni e censure governative nell'organigramma e nella programmazione del servizio televisivo pubblico Rai (perfino nei programmi di satira), a partire dall'allontanamento di tre noti professionisti su clamorosa richiesta pubblica del Presidente del Consiglio nell'aprile 2002 – in un quadro in cui la maggioranza assoluta del consiglio di amministrazione della Rai e dell'apposito organo parlamentare di controllo è composta da membri dei partiti di governo; tali pressioni sono state poi estese anche su altri media non di sua proprietà, che hanno condotto fra l'altro, nel maggio 2003, alle dimissioni del direttore del Corriere della Sera;
rileva pertanto che il sistema italiano presenta un'anomalia dovuta a una combinazione unica di poteri economico, politico e mediatico nelle mani di un solo uomo, l'attuale Presidente del Consiglio dei Ministri italiano e al fatto che il governo italiano è, direttamente o indirettamente, in controllo di tutti i canali televisivi nazionali;
prende atto del fatto che in Italia da decenni il sistema radiotelevisivo opera in una situazione di assenza di legalità, accertata ripetutamente dalla Corte costituzionale e di fronte alla quale il concorso del legislatore ordinario e delle istituzioni preposte è risultato incapace del ritorno ad un regime legale; Rai e Mediaset continuano a controllare ciascuna tre emittenti televisive analogiche terrestri, malgrado la Corte costituzionale, con la sentenza n. 420 del 1994, avesse statuito che non è consentito ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale (vale a dire più di due programmi), ed avesse definito il regime normativo della legge n. 223/90 contrario alla Costituzione italiana, pur essendo un "regime transitorio"; nemmeno la legge 249/97 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) aveva accolto le prescrizioni della Corte costituzionale che, con la sentenza 466/02, ne dichiarò l'illegittimità costituzionale limitatamente all'articolo 3, comma 7, “nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso articolo 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo”;
prende atto del fatto che la Corte costituzionale italiana, nel novembre 2002 (causa 466/2002), ha dichiarato che "...la formazione dell'esistente sistema televisivo italiano privato in ambito nazionale ed in tecnica analogica trae origine da situazioni di mera occupazione di fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni), al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell'etere ... La descritta situazione di fatto non garantisce, pertanto, l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli "imperativi" ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia ... In questo quadro la protrazione della situazione (peraltro aggravata) già ritenuta illegittima dalla sentenza n° 420 del 1994 ed il mantenimento delle reti considerate ancora "eccedenti" dal legislatore del 1997 esigono, ai fini della compatibilità con i principi costituzionali, che sia previsto un termine finale assolutamente certo, definitivo e dunque non eludibile", e del fatto che ciononostante il termine per la riforma del settore audiovisivo non è stato rispettato e che il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge per la riforma del settore audiovisivo per un nuovo esame in quanto non conforme ai principi dichiarati dalla Corte costituzionale;
prende atto altresì del fatto che gli indirizzi stabiliti dalla commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi per la concessionaria unica del servizio pubblico radiotelevisivo, come pure le numerose delibere, che certificano violazioni di legge da parte delle emittenti, adottate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (incaricata di far rispettare le leggi nel settore radiotelevisivo), non vengono rispettati dalle emittenti stesse che continuano a consentire l'accesso ai media televisivi nazionali in modo sostanzialmente arbitrario, persino in campagna elettorale;
auspica che la definizione legislativa, contenuta nel progetto di legge per la riforma del settore audiovisivo (Legge Gasparri, articolo 2, lettera G), del "sistema integrato delle comunicazioni" quale unico mercato rilevante non sia in contrasto con le regole comunitarie in materia di concorrenza, ai sensi dell'articolo 82 del trattato CE e di numerose sentenze della Corte di giustizia, e non renda impossibile una definizione chiara e certa del mercato di riferimento;
auspica altresì che il "sistema di assegnazione delle frequenze", previsto dal progetto di legge Gasparri, non costituisca una mera legittimazione della situazione di fatto e che non si ponga in contrasto in particolare con la direttiva 2002/21/CE, con l'articolo 7 della direttiva 2002/20/CE3 e con la direttiva 2002/77/CE, le quali prevedono, fra l'altro, che l'attribuzione delle frequenze radio per i servizi di comunicazione elettronica si debba fondare su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati;
sottolinea la sua profonda preoccupazione circa la non applicazione della legge e la non esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale, in violazione del principio di legalità e dello Stato di diritto, nonché circa l'incapacità di riformare il settore audiovisivo, in conseguenza delle quali da decenni risulta considerevolmente indebolito il diritto dei cittadini a un'informazione pluralistica, diritto riconosciuto anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
esprime preoccupazione per il fatto che la situazione vigente in Italia possa insorgere in altri Stati membri e nei paesi in via di adesione qualora un magnate dei media decidesse di entrare in politica;
si rammarica che il Parlamento italiano non abbia ancora approvato una normativa per risolvere il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, così come era stato promesso che sarebbe avvenuto entro i primi cento giorni del governo;
ritiene che l'adozione di una riforma generale del settore audiovisivo possa essere facilitata qualora contenga salvaguardie specifiche e adeguate volte a prevenire attuali o futuri conflitti di interessi nelle attività dei responsabili locali, regionali o nazionali che detengono interessi sostanziali nel settore audiovisivo privato;
auspica inoltre che il disegno di legge Frattini sul conflitto di interessi non si limiti ad un riconoscimento di fatto del conflitto di interessi del Premier, ma preveda dispositivi adeguati per evitare il perdurare di questa situazione;
si rammarica del fatto che, se gli obblighi degli Stati membri di assicurare il pluralismo dei media fossero stati definiti dopo il Libro verde sul pluralismo del 1992, probabilmente si sarebbe potuta evitare l'attuale situazione in Italia;
[1] Il gruppo Mediaset controlla:
– televisioni (Canale 5, Italia 1 e Rete 4 in Italia e gruppo Telecinco in Spagna)
– televisioni via satellite (che fanno capo a Mediadigit) e digitale terrestre
– pubblicità (Publitalia '80 in Italia e Publiespana in Spagna)
– società legate ai media televisivi (Videotime, RTI Music, Elettronica industriale, Mediavideo)
– società di produzione e distribuzione di prodotti televisivi (Mediatrade, Finsimac, Olympia)
– telecomunicazioni fisse (Albacom)
– portale di Internet (Jumpy s.p.a.)
– distribuzione cinematografica (Medusa, che controlla il distributore Blockbusters)
– gruppi di investimento e servizi finanziari (Mediaset Investment in Lussemburgo e Trefinance)
– compagnia di assicurazioni (Mediolanum)
– società di costruzioni (Edilnord 2000)
– una squadra di calcio (AC Milan)
– la società editoriale Arnoldo Mondadori Editore che include la più grande casa editrice italiana di libri e numerosi periodici
– il quotidiano "Il Giornale" e il quotidiano "Il Foglio".
[2] Per esempio nel 2003 la Barilla ha investito l'86,8% in meno sui quotidiani e nello stesso tempo ha speso 20,6% in più per spot sulle reti Mediaset, la Procter&Gamble meno 90,5% sui quotidiani e 37% in più sulle reti Mediaset; anche una società pubblica come la telefonica Wind ha tagliato del 55,3% la spesa pubblicitaria sui giornali e l'ha aumentata del 10% sui network di Mediaset; inoltre la Rai nel 2003 ha perso l'8% delle risorse pubblicitarie a vantaggio di Mediaset, con un mancato introito di 80 milioni di euro.
Penso che basti leggere un documento del genere per capire che non si tratta di difendere ciò che non ci possono togliere e non hanno interesse a toglierci, ma si tratta di conquistare quello che non ci hanno mai dato. Meditate, gente, meditate.
giovedì, giugno 16, 2011
Modificabilità delle licenze CC

Creative Commons ha un potere sulla forma scritta della licenza, non ha alcun potere sul suo contenuto perché il suo contenuto riguarda la gestione di diritti che sono del licenziante, non di Creative Commons.
Il licenziante può pubblicare, ad esempio, due testi: in uno è contenuta la licenza CC e in un altro si dice: "la licenza CC è da ritenersi valida relativamente ai seguenti punti: [...]".
Inopportuno, poco agevole, lontano da una buona prassi, dalla logica o dai principi che sorreggono l'attività di Creative Commons. Vero, ma così facendo il licenziante non viola alcun copyright, non commette alcun illecito di alcun tipo, non è inadempiente nei confronti di nessuno: semplicemente esercita un suo diritto. Politica, morale, buon senso... sono assolutamente indifferenti al diritto. Poi, se mi sono perso qualcosa, se esiste un accordo anche tacito tra il licenziante e Creative Commons, fatemelo sapere.
mercoledì, febbraio 23, 2011
PDF con firma scansionata: un'assurdità!

[1] Il documento munito di firma elettronica qualificata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni in esso contenute da chi l'ha sottoscritto.
[2] La copia fotografica ha la stessa efficacia di una copia autentica (la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se non è espressamente disconosciuta) quando la sua conformità con l'originale è attestata da pubblico ufficiale competente oppure non è espressamente disconosciuta. E' bene ricordare che al disconoscimento può seguire una verificazione (accertamento dell'autografia della sottoscrizione) soltanto se la scrittura è in originale.
giovedì, febbraio 17, 2011
Il dono dell'aria

Rinfresco la memoria perché ho visto siti istituzionali "farsi vanto" di rilasciare con licenza libera leggi dello Stato.
Ciò premesso, non mi pare che qualcuno sia mai stato condannato per avere copiato testi da un sito istituzionale.
Esiste ancora un senso della cosa pubblica: forse è il caso di pensare più a quello che a ballare per fare cadere la pioggia sul bagnato.
Inoltre, generalmente i siti delle amministrazioni riportano una nota di copyright da cui si evince che perlomeno è possibile diffondere i contenuti senza scopo di lucro.
lunedì, settembre 06, 2010
Deposito SIAE: se non paghi il rinnovo, perdi la prova retroattivamente

E allora...
L'autore invia il pacco (contenente l'opera) a Siae, Siae lo sigilla in un plico e ogni 5 anni chiede all'autore di pagare per il rinnovo del deposito. Se l'autore non paga e vuole evitare che il pacco venga distrutto, può ritirarlo.
Molti pensano che, ritirato il pacco che è stato qualche anno presso Siae, avranno comunque tra le mani una prova di esistenza dell'opera ad una data certa.
Molti pensano di ritirare il pacco nel plico sigillato di Siae.
Si tratta di gravi errori di valutazione.
Il plico (di Siae: ossia l'involucro sigillato dentro cui Siae ha messo il pacco che l'autore ha inviato a Siae) viene distrutto sempre: è il pacco che, a richiesta dell'autore, viene estratto dal plico e viene a lui riconsegnato.
Ai fini della tutela, che il pacco venga distrutto o ritirato è esattamente la stessa cosa: nel momento in cui il pacco non è più sigillato nel plico e depositato presso Siae è come se il pacco non fosse mai stato inviato a Siae.
In altre parole, il giorno in cui l'autore ritira la sua opera non dispone più di una prova di esistenza della stessa ad una data certa.
E ciò è anche logico: se così non fosse, basterebbe inviare un pacco a Siae e ritirarlo il giorno seguente per procurarsi una prova di esistenza dell'opera ad una data certa senza la necessità di pagare per i rinnovi del deposito.
Questo è uno dei tanti motivi per cui conviene utilizzare copyzero.
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