L'articolo di D'Agostini su PI mi lascia un po' perplesso.
La Cassazione dice:
"la creatività e l’originalità sussistono anche qualora l’opera sia composta da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, purché formulate ed organizzate in modo personale ed autonomo rispetto alle precedenti".
In linea con la Corte d'Appello, che diceva, più ambiguamente:
"l’innovazione risiede nella capacità di adattare l'architettura applicativa al caso ed all’ambiente tecnologico specifico".
Venendo all'articolo:
"Cassazione: un software uguale ad un altro è originale" non l'ha scritto D'Agostini, ma PI.
Tuttavia D'Agostini, secondo me, pur partendo bene (dice che la Cassazione precisa il concetto di originalità, non dice che lo stravolge), compie un passo falso quando parla della "virgola" (comunque virgolettata, perdonate il bisticcio):
"in pratica prendo un programma, ne cambio una "virgola" ed ecco il prodotto nuovo!".
Una virgola in un codice sorgente che cos'è?
Una riga di codice?
E' chiaro che la Cassazione per "idee e nozioni semplici" non intende una riga di codice (altrimenti sai che spasso: basta aggiungere una riga e il gioco è fatto).
Quando la Corte d'Appello scrive "tutti i prodotti software che risolvono la stessa esigenza applicativa (nel caso in esame: controllo del carico degli automezzi nei depositi petroliferi) presentano una architettura di base che è comune alla maggior parte dei sistemi dì controllo dei processi industriali", D'Agostini commenta:
"quello che più lascia perplessi è che nella consulenza tecnica si legge addirittura che i due software erano pressoché identici, cioè presentavano la medesima architettura".
Secondo D'Agostini, quindi, due software con architettura di base comune sono pressoché identici.
Ma il software non è come un romanzo: con un software tu puoi raccontare la stessa storia, ma con altre parole.
Questo concetto non è condiviso da D'Agostini:
e non è un caso che egli si meravigli del fatto che la giurisprudenza distingua tra opere espressive ed opere funzionali, accordando alle prime una disciplina analoga ma, ovviamente, più "garantista".
Quest'ultimo è un punto di vista che forse ha preso troppo campo nell'articolo di D'Agostini, apportando ad esso la nota stonata (rectius un arpeggio) di cui sopra.
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