Nel 1885 Lysander Spooner scrisse The Law of Intellectual Property, il cui capitolo secondo è dedicato a smontare le teorie di chi sostiene che non esistono diritti di proprietà sulle idee.
E' interessante notare che:
1. oggi si continua a sostenere l'inesistenza della proprietà intellettuale con le stesse argomentazioni di oltre 120 anni fa (avete presente com'era il mondo 120 anni fa?);
2. chi oggi sostiene l'inesistenza della proprietà intellettuale è considerato un rivoluzionario ed un utopista (quindi si è completamente ribaltata la prospettiva, perché tutto si può dire di Spooner fuorché non fosse un Rivoluzionario ed un Utopista);
3. oggi le argomentazioni utilizzate da chi sostiene l'inesistenza della proprietà intellettuale sembrano nuove mentre 120 anni fa erano considerate già vecchie;
4. gli odierni "rivoluzionari della conoscenza" sono soliti prendere come modello le parole di uno schivista e guerrafondaio della peggior specie [1], Thomas Jefferson, considerandolo un grande democratico (come ben spiega, tra gli altri, Carlo Stagnaro, Thomas Jefferson, nella Dichiarazione d’Indipendenza americana – di cui fu l’unico autore – parla anche di ricerca della felicità. Con ciò non intende naturalmente dire che ciascuno abbia diritto a essere felice ma, appunto, a perseguire la soddisfazione dei propri desideri come meglio crede: se avesse scritto che ognuno ha diritto alla felicità, egli avrebbe vincolato i Governi americani a fornire una determinazione quantitativa del termine felicità, dando così avvio a pratiche di pianificazione economica e sociale distruttrici di un’intera nazione. Ma Jefferson […] ha utilizzato una terminologia ben precisa, parlando di ricerca della felicità; e con ciò ha inteso affermare che ogni uomo deve essere libero di scegliere il proprio destino e di indirizzarlo secondo la propria volontà. Per poter far questo egli deve vedere rispettato e tutelato il diritto di proprietà, base imprescindibile di qualsiasi costruzione giuridica che non abbia la pretesa di sovvertire i dettami della legge naturale e l’umanità stessa. La prima condizione necessaria per tutelare la proprietà privata (condizione che a qualcuno potrà anche sembrare tautologica) è non violarla. Sarà anche una tautologia, ma è quello che quotidianamente fanno gli Stati: con la pretesa di proteggere il cittadino e i suoi averi e di garantirgli una vita serena (compiti che, oltre ad essere del tutto arbitrari, vengono svolti nel peggiore dei modi) lo Stato esige dal cittadino stesso un compenso, che si concretizza nella tassazione. Come ha ben notato il polemista anarchico americano del secolo scorso Lysander Spooner lo Stato si comporta al pari di un criminale che, con la minaccia e la violenza, estorce al malcapitato tutti o parte dei suoi averi, senza avere neppure la dignità di riconoscersi un delinquente, ma anzi volendo convincere il meschino di essere al suo servizio.).
Insomma, in questi 120 anni tutto sembra essersi capovolto. C'è da dire che lo statalismo, anche nella forma comunista (leggi, ad esempio, cosa dice Wikipedia), ha educato buona parte dell'umanità a vedere nel gruppo la sostituzione dell'io (anche come mortificazione del genio) e a vedere nello Stato la sostituzione del gruppo, per cui oggi appare inevitabile cercare un referente istituzionale per cambiare la legge sul diritto d'autore, quando in realtà, se il Legislatore farà qualcosa di positivo in questo campo, così fortemente condizionato dagli interessi economici di chi detiene a livello mondiale il potere nei commerci, lo farà cedendo davanti a fenomeni sociali di natura individualistica come il p2p illegale (alias pirateria): consuetudo contra legem che, lentamente ma inesorabilmente, diventa legge attraverso una sorta di "rivoluzione privata" che un organismo poderoso ma lento come lo Stato non può arrestare (sembra di vedere un elefante circondato da 60 milioni di topolini).
[1] Dall'intervista di Scarichiamoli! a Wu Ming:
Molti ricordano Thomas Jefferson per questa frase: Chi riceve un'idea da me, ricava conoscenza senza diminuire la mia; come chi accende la sua candela con la mia riceve luce senza lasciarmi al buio. Pochi lo ricordano per avere dato inizio a quello scontro anglo-arabo di cui ancora oggi il mondo paga le conseguenze.
Completiamo la frase: gli schiavi che davano la forza-lavoro a Jefferson arricchivano lui e si massacravano di corvées fino alla consunzione, in cambio di un tozzo di pane e una pacca sulla spalla. Non c'è da sorprendersi del fatto che scapparono quasi tutti per arruolarsi nell'esercito inglese. A Londra la schiavitù era già in via di abolizione, gradualmente sarebbe stata abolita in tutto l'Impero, decenni prima che succedesse nel Paese fondato da Jefferson e soci. Come fa notare Simon Schama, se guardiamo la rivoluzione americana dal punto di vista del nero, il rapporto oppressi-oppressori si rovescia del tutto. Nella Dichiarazione d'indipendenza c'è scritto: Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità. Gli schiavi di Jefferson presero in parola il loro padrone, si dileguarono e alla prima occasione gli spararono addosso.
12 commenti:
Grazie non conoscevo questo libro e lo trovo molto interessante.
Finalmente sono in disaccordo :-)
Espongo qui brevemente alcune mie osservazioni:
1. Tranne pochi estremisti, non credo che nessuno neghi in radice l'esistenza di una proprietà intellettuale. Quello che si contesta da parte di alcuni è l'esattezza della locuzione "proprietà intellettuale". In primo luogo perchè è una nozione che unisce categorie eterogenee e che in nessun modo dovrebbero essere accostate. Sotto la terminologia proprietà intellettuale vengono fatti rientrare la tutela autorale, quella brevettuale e quella sui marchi... ora va da sè che una cosa è l'ultimo romanzo di Stephen King, un'altra è la particolare conformazione del cestello di una lavatrice e un'altra ancora il logo della Coca Cola. Questo voler accomunare tutto in un'unica espressione per una lotta universale contro la pirateria mi pare francamente fuoriviante.
2. La tutela che si può accordare ad un'idea non potrà mai essere basata sugli stessi principi della tutela che si accorda ad un pezzo di terra. Per una ragione semplice: le idee sono beni non competitivi, la terra lo è. Del resto tutti i diritti che puoi vantare su un'idea o sulla sua forma espressiva portano incisa una data di scadenza mentre se acquisti una casa non è che diventi di pubblico dominio decorsi un tot numero di anni. Certo soprattutto nel diritto d'autore la tendenza alla tutela perenne comincia ad essere forte e nel caso del software di fatto la tutela è perenne (il software che diventerà di pubblico dominio non avrà più alcuna utilità nè macchine su cui girare).
3. Quella sul diritto d'autore è una legge. Come tale va modificata nelle sedi istituzionali competenti (o incompetenti, poco conta, decidono lì). Se non si fa qualcosa per intervenire in prima persona il risultato è che decidono sempre gli altri e allora fuori si discute di libertà digitali e dentro quelle libertà vengono ristrette provveddimento dopo provvedimento, piano piano, sottovoce.
4. Quella citazione di Thomas Jefferson mi piace molto e credo esemplifichi perfettamente il concetto della eterogeneità delle proprietà: quella sui beni materiali e quella sui beni immateriali. Citare una massima, una frase, che si condivide, non significa allo stesso tempo condividere tutte le convinzioni di una persona. Insomma non bisogna essere dei santi per dire qualcosa di giusto.
Tutto questo IMHO
Marco
Le provocazioni intellettuali non dovrebbero essere prese alla lettera, comunque vediamo di capire meglio le nostre posizioni. :-)
1. Non sono pochi a negare l'esistenza della proprietà intellettuale. I teorici del no-copyright, che negli USA altro non è che l'altro nome del public domain (diverso dal nostro pubblico dominio, che sempre convive con i diritti morali d'autore), partono dal presupposto che non esista alcuna forma di proprietà privata sulle idee (e il discorso comprende sia le idee brevettuali, sia le idee autoriali, sia il "frutto delle idee", ossia le opere dell'ingegno).
Queste teorie si basano proprio su quelle obiezioni di cui parlava Spooner (che nello specifico si riferiva ai brevetti: Spooner aprì un suo ufficio brevetti contrapposto all'ufficio brevetti dello Stato):
l'immateriale non è come il materiale, la conoscenza non è mai una conquista personale ecc. (teorie comunque oggi utilizzate in campi diversi: dai brevetti al copyright).
In Italia, ad esempio, ci sono realtà come Copydown che, per meglio esprimere questo rigetto (non solo terminologico) della proprietà intellettuale hanno creato una sorta di licenza goliardica (perché, pur trattandosi di un atto dispositivo di diritti d'autore, ovviamente non parte dal presupposto che esistano dei diritti d'autore), che si chiama Licenza per la riappropriazione della cultura popolare: http://www2.autistici.org/hackeralbum/licenza_rcp/licenza_rcp.html
Quindi può essere fuorviante il fare di ogni erba un fascio (cosa che non ho mai fatto in viata mia, se non altro perché odio le generalizzazioni), ma è assolutamente corretto dire che c'è chi fa di ogni erba un fascio e che questi
"fascisti" sono fortemente influenzati dalle proprie convinzioni politiche.
2. Sono d'accordo sul fatto che esista una differenza tra immateriale e materiale, ma trovo debole l'argomentazione della tua risposta. Perché i diritti morali (che sono diritti personali: ed è proprio qui che l'individualità, la "proprietà del intelletto", il genio, si esprime in tutta la sua essenza) non portano incisa una data di scadenza. Ma anche prendendo in considerazione i diritti di utilizzazione economica e seguendo il tuo ragionamento, posso dirti, ab contrario, che la proprietà intellettuale assomiglia molto ad una rendita vitalizia (che ha ad oggetto beni materiali: mobili, immobili, capitali).
Addirittura abbiamo istituti giuridici, come il pegno, il sequestro, l'espropriazione che trattano allo stesso modo diritti su beni materiali e diritti patrimoniali d'autore.
Qui si tratta di capire se ci sono o non ci sono analogie tra le modalità con cui il diritto disciplina la proprietà materiale e quella immateriale. E' chiaro che ci sono differenze, altrimenti non si potrebbe nemmeno parlare di analogie (si tratterebbe di identità). Ma sono riscontrabili analogie? Direi di sì. Quindi, in questo campo, tracciare una differenza tra materiale ed immateriale basandola sui differenti "approcci" del Legislatore alla materia, apre automaticamente la strada all'individuazione delle analogie.
3. Non c'è dubbio che le leggi le fa il Parlamento (e penso che sia fuor di dubbio la mia ricerca di un dialogo con le Istituzioni: la tua "Frontiere Digitali", ad esempio, è praticamente nata in Senato... ma alla riunione di "Scarichiamoli!" da me organizzata... tra l'altro fui proprio io ad invitare Marco Calvo, che è la persona che poi, insieme agli intervenuti, aprì la mailing list di FD... mi incazzai anche un pochino perché inizialmente fece credere che quella lista era la lista di "Scarichiamoli!"). Così come non c'è dubbio che il Legislatore è influenzato da quello che accade fuori dal Parlamento.
Nella fattispecie io credo che il ruolo primario lo giochi Internet, il p2p, l'inarrestabile pirateria, il fatto che milioni di italiani ogni giorno commettano consapevolmente lo stesso reato.
Se, ad esempio, si arriverà alla famosa flat tax (che a me, comunque non piace), sarà perché, in certi casi (e questo è uno di quelli), i nostri amministratori preferiscono legalizzare ciò che non riescono a contrastare.
4. E qui, come dicevo all'inizio, hai preso le mie parole un po' troppo alla lettera. Tuttavia penso che dietro le parole ci sia sempre la persona che le ha proferite. Anche la frase "Se un uomo non si batte per le sue idee, o non valgono le idee o non vale l'uomo", è bella ma non mi risulta che nessun liberario si sia mai messo in bocca una frase del duce. :-)
Il fatto è che, malgrado di belle frasi ce ne siano tante, la figura di Jefferson è comprensibilmente molto cara agli americani: quindi i guru d'oltreoceano sono soliti utilizzare quella frase.
Frase che poi viene recepita nel resto del mondo globalizzato (dagli accademici fino agli attivisti).
E già, anche le licenze si portano dietro un pericoloso concetto di globalizzazione: io, ad esempio, quando vedo che si vorrebbero portare le creative commons "in Parlamento" o "alla SIAE" mi sento male... ma non sono il solo a sentirsi male).
Insomma, per me le parole di Jefferson sono quelle di uno che bombardò Tripoli senza nemmeno avere chiesto il consenso al Congresso (altro che Bush!).
Non mi si chieda, per favore, di apprezzare quella frase in modo asettico. Proprio non ci riesco.
Vedo che fortunatamente tanti altri lo fanno (anzi, chi non lo fa oramai sembra "fuori moda" :-)) e non ho alcuna intenzione di contestarli per questo.
Innanzitutto grazie per la replica, come al solito puntuale.
Su alcuni concetti ci sarebbe da discutere (espropriazione, pegno, diritti morali come diritti proprietà) magari lo faremo organizzando un incontro pubblico sul tema ;-)
Marco
Sì ovviamente se ne può discutere... vedi, ad esempio l'idea di Gennaro sulla mera detentio: http://www.scarichiamoli.org/main.php?page=interviste/francione
Però è fuor di dubbio che i diritti di utilizzazione economica possono essere oggetto di pegno, sequestro ed espropriazione. Così come è fuor di dubbio, ad esempio, che la proprietà intellettuale comprende anche i diritti connessi, che di immateriale hanno ben poco!
In realtà immateriale è soltanto l'opera in sé (corpus mysticum), ma il corpus mechanicum (i files sulle reti p2p, i files che scarichi da Internet) è sempre presente, per cui concepire la miriade di opere rilasciate con licenza open content come qualcosa di totalmente immateriale è ben difficile.
Ma per far capire bene il concetto a certe persone bisognerebbe dire loro: "Ok, visto che a te interessa solo il bene immateriale, del bene materiale puoi anche fare a meno".
Dopodiché bisognerebbe riprendere le loro facce mentre cliccano su "download" e scaricano una partitura o un midi file anziché l'mp3.
Forse a quel punto si renderebbero conto del fatto che ciò che pensano essere immateriale è molto più materiale di quello che credono. :-)
k2 ha detto...
Però è fuor di dubbio che i diritti di utilizzazione economica possono essere oggetto di pegno, sequestro ed espropriazione. Così come è fuor di dubbio, ad esempio, che la proprietà intellettuale comprende anche i diritti connessi, che di immateriale hanno ben poco!
Si ma il punto non è se tecnicamente quei diritti siano soggetti a pegno, sequestro, espropriazione ma il perchè ciò venga concesso da un ordinamento, cioè quello che può essere pignorato, sequestrato, espropriato è una cosa o una pretesa che si potrebbe rivolgere verso terzi... va bè questo però ce lo riserviamo per il dibattito pubblico, se no parto per la tangente e scrivo dieci cartelle :-)
P.s.: Gennaro Francione è un vero estremista dell'anti diritto d'autore però dà continui spunti di riflessione!
L'aspetto teleologico pare chiaro: la proprietà intellettuale viene considerata alla stregua della proprietà su un bene materiale e quindi gli viene accordata una tutela analoga. Che poi l'impostazione sia discutibile è tutt'altro discorso (c'è il mio amico Rossato, ad esempio, che dice chiaramente che l'uomo ha fatto a meno del diritto d'autore per molti secoli senza subire gravi conseguenze e potrebbe farne a meno anche adesso :-)).
Ben vengano tutte le opinioni!
Io non mi sono mai occupato di averne una in proposito. Preferisco investire energie mentali sulla realtà.
Quello che mi sono limitato a dire è che non penso che sia partendo dalla legge dello Stato che si possa spiegare la "vera" (??) natura della proprietà intellettuale.
Gennaro, se lo leggi con attenzione, non è un estremista perché il suo anti-copyright non rinnega il copyright. Comunque le persone come Gennaro certamente si ascoltano con piacere perché mentre ti raccontano un'utopia ti mettono in contatto con il sapere.
Purtroppo ci sono poche persone come lui (forse come lui c'è soltanto lui), per cui diventa - almeno pr me - difficile tollerare il fuffismo sull'immateriale, le ossessive citazioni jeffersoniane, le frasi fatte (e strafatte) di politici e politicanti... insomma, è difficile trovare stimoli nel panorama odierno.
Domani vedremo.
la proprietà intellettuale non mi pare affatto che venga considerata alla stregua della proprietà materiale, ma ripeto sono punti di vista, ognuno ricostruisce l'ordinamento giuridico anche secondo la propria visione. Una delle cose che ho imparato facendo l'avvocato è che non esiste praticamente nulla in diritto che non possa essere oggetto di critica, contestazione e ribaltamento dell'interpretazione prevalente in quel momento.
Quello che tu chiami fuffismo sull'immateriale temo sia l'interrogarsi su quale nuova configurazione debba avere il diritto d'autore oggi (o finanche se ne debba avere una). E questa è una cosa buona a mio avviso. Ragionare solo sull'esistente porta a non porsi domande sul perchè un determinato assetto esista e se continui ad avere un senso.
Con questo passo e chiudo se no diventa un forum :-)
Ci sono posizioni diverse in diritto ringraziando Dio, altrimenti non esisterebbe l'esegesi della norma e basterebbe un computer per applicarla.
Ma nemmeno io penso che vengano trattate allo stesso modo!
E infatti non ho mai parlato di identità ma di analogia, che è ben diverso.
Le analogie ci sono e sono palesi.
E il concetto è ben chiaro anche tra la gente comune, che quando subisce un plagio è solita dire "mi hanno rubato la canzone".
Penso che anche la percezione delle persone abbia la sua importanza.
E' un po' comodo non vedere il furto quando si scarica e poi gridare al ladro quando si è scaricati. :-)
Per quanto riguarda la configurazione del diritto d'autore (mettendo a parte i discorsi sulle TPM, sulla copia privata, sulle libere utilizzazioni, sul prestito gratuito nelle biblioteche... che hanno una valenza pubblicistica), si tratta di un diritto che ognuno deve essere libero di gestire come vuole per cui non capisco perché, ad esempio, bisognerebbe abbassare il periodo di durata dei diritti di utilizzazione economica. Un po' perché 20 anni di meno (il massimo cui possiamo tecnicamente aspirare) cambiano poco e un po' perché se io voglio portare a 0 la durata dell'esercizio eclusivo di questi diritti posso farlo in qualsiasi momento con due righe di nota di copyright.
Abbiamo forse avuto problemi con D'Annunzio? Qualcuno ci ha impedito di conoscerlo ed apprezzarlo (o disprezzarlo)? Non mi pare. Il problema, che io sappia, ce l'ha avuto solo Calvo quando ha dovuto rimuovere certi libri dall'archivio di Liber Liber.
Infine, dico che per l'esegesi può bastare anche un computer molto evoluto, ma per l'ermeneusi, che è altra cosa, servirà sempre l'uomo e il suo buon senso.
Gennaro, ad esempio, è un ermeneuta. Ha dovuto rendere conto al CSM della sua creatività, eppure non ha mai subito provvedimenti disciplinari.
Perché ci vuole il coraggio delle proprie idee e non seguire la fuffa di moda.
HA RAGIONE K2 E' INUTILE CHE LA MENATE CON COSE CHE ALLA FIN FINE SONO TOTALMENTE ESTRANEE ALLA GENTE COMUNE. AGLI AUTORI INTERESSA AVERE LA PROPRIETA' SULLE LORO COSE ANCHE IN ETERNO! E PERCHE' NON DOVREBBERO AVERLA?? POI UNO DECIDE COSA FARE, PUO' ANCHE DECIDERE DI METTERLE SOTTO LICENZA CC. COSI' C'E' LIBERTA'. SE POI CI SONO QUESTIONI DI ALTRA NATURA, TIPO L'ACCESSO ALLA CULTURA E' UN ALTRO PAIO DI MANICHE E NON C'ENTRA NIENTE LA DURATA DEL COPYRIGHT. IMHO.
La discussione è molto interessante ma penso che sia inconciliabile la posizione di chi vede nello Stato un ginepraio fine a se stesso e chi vi ripone le speranze di mutamenti radicali.
Diego, per quanto mi riguarda lo Stato non è un ginepraio fine a se stesso. Certamente non vi ripongo speranze di mutamenti radicali, perché lo Stato ha una storia, non è nato ieri.
Ma soprattutto - e questa è per me la cosa più importante - non sento affatto l'obbligatorietà di mutare radicalmente la società attraverso il Legislatore. I grandi cambiamenti il Legislatore li ha sempre tradotti in legge, non li ha autodeterminati.
In democrazia la legge cambia al cambiare della società, NON VICEVERSA.
Il primo passo è allora quello di svegliare e rendere consapevole la società, non di riproporre la filiera della trattativa con i signori del fumo.
"Fumare" non serve nemmeno a pensare o a ripensare qualcosa, serve a non pensare e a non far pensare.
L'azione, invece, presuppone sempre un pensiero.
I politici e il politichese servono soltanto a mitigare, assorbire la protesta sociale affinché i poteri economici mantengano la posizione di dominanza.
Per questo dico che vale più un downloading illegale di 1000 parole ad un tavolo istituzionale.
Il discorso è molto semplice: se lo vogliamo capire, bene, se non lo vogliamo capire, sarà lo Stato e l'esperienza ad insegnarcelo.
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